Pensieri sulla noia di Serena Vallana
Ti sei acceso un’altra sigaretta. Hai mangiato l’ennesimo biscotto. Distrattamente. Come distrattamente scorri il telefono, con il sottofondo della televisione accesa su un programma non troppo impegnativo, non troppo interessante, che ascolti con un orecchio mentre guardi le figure.
La noia. Chiuso in casa senza poter lavorare, senza qualcuno con cui parlare, senza nemmeno poter fare una passeggiata.
Anche questa è la quarantena, che ci avvicina a un sentimento così proprio dell’essere umano e così specifico della nostra esistenza da diventare un tema ricorrente per i più grandi filosofi e poeti.
Alla noia è spesso associato un senso di vuoto, di inutilità, una malinconia che a volte prende le sfumature della depressione. Ma sono solo attimi, perché la noia, in qualche modo, ci protegge.
Può sembrare strano, ma proviamo a guardarla da vicino: di cosa è fatta la noia?
La noia viene talvolta percepita come apatia (mancanza di emozioni, di interesse) o come abulia (mancanza di volontà). Eppure già nell’etimologia c’è qualcosa di stridente. La noia è infatti, nella sua prima accezione, tutt’altro che un sentimento neutrale. Noia è odio, dal latino tardo inodiare, avere in odio. L’odio verso il tempo che non scorre, un tempo del tutto particolare incatenato necessariamente al presente. Non c’è passato nella noia, non c’è rimpianto o nostalgia. E non c’è futuro, spinta propositiva, speranza. Non c’è nemmeno paura. Al limite insofferenza e rabbia (disforia, direbbero gli psicologi). Nella noia esiste soltanto un insopportabile eterno presente che non porta da nessuna parte, un tempo che siamo spinti a forzare perché scorra, perché le lancette dell’orologio ci dicano, a un certo punto, che è sera.
È un tempo svuotato di godimento. Ed è forse questo il punto. Se guardiamo la noia da un vertice psicoanalitico, essa è ben lontana dall’essere mancanza di desiderio. È anzi eccesso di desiderio, un “ingorgo libidico”, un troppo pieno che non si riesce a sviluppare. È una pulsione, una spinta, verso una meta che non possiamo raggiungere. Si tratta, per la psicoanalisi, di una meta interiore o per meglio dire interiorizzata e rimossa che non trova nella realtà un corrispettivo che ne soddisfi il desiderio. La noia ha quindi a che fare in un certo senso con la delusione di un appagamento irrealizzabile.
Cambiamo prospettiva: cosa sentiremmo se non ci annoiassimo? Andremmo forse troppo vicini a quella mancanza insostenibile, troppo vicini all’angoscia. Era già nel pensiero di Schopenhauer questo concetto: la volontà implica dolore, desiderare implica l’assenza. E se è vero che alcuni desideri possono essere soddisfatti, si tratta di un sollievo momentaneo, per chi, direbbe la psicoanalisi, si porta dentro un vuoto radicale e incolmabile. Afferma infatti il filosofo che “La vita umana è come un pendolo che oscilla incessantemente tra il dolore e la noia, passando per l’intervallo fugace, e per di più illusorio, del piacere e della gioia”.
In circostanze normali potremmo pensare che chi è sempre annoiato abbia una sofferenza che la noia mette a tacere.Sono spesso le persone molto molto impulsive e iperattive a patire le circostanze in cui non possono muoversi, agire, soddisfare un bisogno e sovente il troppo pieno (di lavoro, di relazioni, di hobby…) non è un segnale rassicurante rispetto al benessere dell’individuo. Oppure, di contro, la noia affligge coloro i quali temono talmente tanto di essere delusi da non provare a godere di niente. Nulla è all’altezza delle aspettative, più saggio rinunciare in partenza.
È vero anche che per contrastare la noia le persone sono disposte a mettere in atto comportamenti pericolosi o controproducenti, come guidare in modo spericolato, mangiare eccessivamente, assumere sostanze…. Tutto ciò che permette di mettere a tacere quel desiderio insoddisfatto, perché è possibile che percepirlo, senza stordirlo con una raffica di azioni o con l’indifferenza della noia metterebbe in contatto con sentimenti molto meno sopportabili.
Meglio quindi ipnotizzarsi riempiendo il tempo, in particolare ora, in quarantena, un momento in cui le nostre attività quotidiane sono interrotte. Perché se in tempi normali la tendenza alla noia è un elemento potenzialmente allarmante, di fronte alla clausura e alla costrizione non possiamo avere lo stesso sguardo. Le attività che di solito ci danno piacere sono oggettivamente mete lontane per le nostre pulsioni.
E tuttavia c’è un’altra possibilità, che dovremmo considerare sempre e ancor più nei giorni di immobilità forzata. Se lasciamo spazio ai nostri desideri, senza ingolfarli in gratificazioni immediate e insufficienti, è possibile che dalla noia nasca qualcosa di buono. Possiamo pensarlo come un vuoto che non è una voragine senza fondo, ma uno spazio libero. Quale forma di creatività può nascere se non ha lo spazio per farlo? Dalla mancanza nasce il pensiero, dalla frattura e dalla frustrazione si generano idee. Volendo interpellare Bion, che risponde sempre alle nostre più arcane domande, scopriremmo che senza la mancanza e la frustrazione (a determinate condizioni) non può nascere il pensiero il quale non è altro che una rappresentazione di un oggetto assente.
Se riuscissimo a guardare a quella frattura tra ciò che desideriamo e ciò che ci può appagare, la noia potrebbe rivelarsi improvvisamente un’opportunità. Abbiamo la possibilità di essere noi stessi creatori della meta desiderata, dell’appagamento, grazie a quella forza che muove il mondo che è la curiosità. Non possiamo avere i nostri godimenti abituali? Proviamo a capire di che cosa avremmo bisogno, profondamente. Proviamo a ingegnarci per appagare quella fame attraverso le strade che ci è concesso percorrere. È possibile che scopriremo un sentiero inaspettato che ci conduce allo stesso punto, o altrove. Diamoci la possibilità di stupirci, senza frapporre tra noi e il mondo un “preferisco di no”.
Infine un invito. Se in qualche momento ci annoiamo, non sentiamoci in colpa. La noia è anche una difesa, un momentaneo ritiro in un luogo sicuro di cui, in questi giorni, abbiamo il dovere di concederci il lusso.