La situazione che stiamo vivendo con la pandemia di Covid19 ha e avrà sicuramente delle ripercussioni sulla salute mentale di gran parte della popolazione. Si tratta infatti di un evento traumatico per tutta la collettività e per i singoli individui. 

Ma è anche vero, così come avviene per ogni evento traumatico di qualsiasi natura esso sia, che il vissuto soggettivo, le risorse psichiche di cui disponiamo e il contesto sociale e relazionale in cui viviamo possono determinare  una risposta più o meno pesante e profonda in ciascuno di noi. 

Secondo un articolo pubblicato su Lancet le ricerche condotte sugli effetti psicologici delle epidemie come la SARS hanno evidenziato come un periodo di isolamento sociale anche inferiore a 10 giorni può avere ripercussioni di lunga durata. Per esempio, a distanza di tre anni, alcune persone riportavano ancora sintomi di disturbo post traumatico da stress, abuso di alcol e sostanze. Un altro aspetto interessante è che la fascia di popolazione che sembra avere le conseguenze più significative è composta dalle donne e dai giovani tra i 16 e i 24 anni. 

Alcune categorie risultano, quindi, più esposte al rischio di vivere la quarantena e la limitazione delle libertà personali come qualcosa di estremamente difficile. 

Una di queste è rappresentata dalle persone che soffrono di disturbi del comportamento alimentare (DCA). 

Quello che segue non vuole essere una serie di consigli su come affrontare il problema, ma una riflessione rivolta soprattutto a chi non ha questo tipo di patologia. 

Proprio perché è di una patologia che si tratta e non di un capriccio. 

Uno dei primi messaggi che sono passati attraverso i social è stato quello che in questa fase si correrà il rischio di prendere peso. Un tema affrontato con ironia e senso dell’umorismo da chi riesce a tollerare questo “effetto collaterale” come qualcosa di accettabile e così condiviso che vale la pena riderci su. Non altrettanto accade però a chi ha un DCA, per cui questa ipotesi si trasforma nella concretizzazione della peggior paura. 

Qualcuno potrebbe pensare che di fronte a una pandemia preoccuparsi di ingrassare sia da egoisti, che si tratti di un problema di poco conto. Proviamo per un attimo a cambiare immagine. Pensiamo a un ragazzino terrorizzato dai temporali, che si trova in quarantena da solo nel pieno di una tempesta. Nessuno penserebbe che il suo panico sia un segno di scarsa forza di volontà o di disinteresse per il prossimo. Per tutti sarebbe comprensibile che non ha la possibilità di frenare quel panico. Ecco, per una persona con DCA capita lo stesso. 

Per una persona anoressica, bulimica o che soffre di binge eating la quarantena è una situazione molto pericolosa. Per chi vive in famiglia, il tempo dei pasti può diventare motivo di tensione. È difficile scegliere cosa mangiare, complicato isolarsi. L’attenzione rischia di essere elevata sopra una soglia di cura e interesse per diventare, infine, ossessione. Non ci sono valvole di sfogo e questo può acuire i conflitti. Anche chi vive da solo può avere difficoltà a gestire, per esempio, le abbuffate con la conseguenza di cadere in uno stato di apatia depressiva e in una profonda autosvalutazione.  Oppure può restringere l’apporto calorico sotto una soglia pericolosa per “compensare” le limitazioni all’attività fisica. 

Si trovano online moltissimi consigli su come mantenersi attivi nonostante la quarantena. Senza dubbio si tratta di pratiche salutari per moltissime persone, tuttavia per alcuni il movimento e l’esercizio possono diventare l’unica attività pervista nella giornata, con l’obiettivo di bruciare calorie. Allenamenti continui, iperattività, impossibilità di rilassarsi perché tutto il tempo passato sul divano avvicina allo spettro del prendere peso, in un vortice ossessivo che da un’illusoria sensazione di controllo. Ricordiamo infatti che uno dei sintomi dei DCA è proprio l’attività fisica eccessiva finalizzata al controllo del peso. In questo momento storico, tali forme di “compensazione” risultano socialmente accettate e talvolta viste come qualcosa di positivo, il che non aiuta a comprendere l’angoscia che le accompagna. Il non poter uscire a correre o camminare, il non potersi allenare in palestra diventano una fonte di ansia inimmaginabile per chi non soffre di queste patologie. 

In questo senso, seppur con caratteristiche in parte diverse, il fenomeno colpisce anche i maschi. Disturbi come la vigoressia, meno nota ma altrettanto invalidante, sono in aumento tra la popolazione maschile (e in percentuale minore femminile). Il non potersi allenare, il perdere volume muscolare, l’alimentarsi in modo meno “pulito” possono dare luogo a comportamenti e sentimenti analoghi a quelli vissuti nelle patologie più conosciute.

Se pensiamo al cibo come a un sostituto perverso della relazione, capiamo quanto questo simbolicamente sia importante. Un rapporto complesso tra ciò che viene introdotto e ciò che viene rifiutato, un meccanismo che ha nelle relazioni primarie il suo articolarsi in modo più o meno sano. Sono molti gli aspetti che vanno in tilt in una situazione estrema come la quarantena. Per citarne solo uno, pensiamo a quanto il cibo, analogamente alle sostanze, sia un “oggetto” di relazione che nella fantasia è controllabile e sempre disponibile (a differenza, nel vissuto profondo, delle relazioni con le persone). In isolamento questo aspetto va in frantumi. Il cibo può essere disponibile in sovrabbondanza in un momento, ma può essere difficile procurarselo in un altro. Non è possibile in questa sede una disamina approfondita di tutte le ripercussioni che ha sull’alimentazione la quarantena e poco è stato scritto in tal senso, trattandosi di un fenomeno nuovo nel mondo Occidentale contemporaneo. 

Che si vada nella direzione della restrizione alimentare eccessiva, del movimento compulsivo o dell’alimentazione incontrollata, sicuramente il sottile equilibrio che tiene in piedi una persona che soffre di DCA è messo a dura prova e ciò può comportare un incremento di sintomi depressivi, ansia, svalutazione, sentimenti di vergogna. 

È importante perciò che chi soffre di tali disturbi, se ha già iniziato una terapia, abbia la possibilità di continuarla anche durante le settimane di isolamento o che si senta legittimato a chiedere aiuto se si sente in difficoltà. 

Altrettanto fondamentale è l’atteggiamento delle persone vicine, che sono chiamate a essere il più possibile comprensive, non giudicanti e accoglienti, esattamente come farebbero con il ragazzino nel pieno del temporale.